Lei non si sentiva sola.
Amava la buona cucina, il bicchiere di vino d’origine controllata e garantita, ma solo un bicchiere.
Amava la musica.
Le piaceva proprio cantare.
Era una bella donna prossima ai quaranta, viveva in un grazioso appartamento arredato con gusto, insieme alle sue figlie ed a due gatte.
Qualcuno disse di lei che era una lavoratrice infaticabile, argomento che può muovere qualche riserva.
Chi può dire se ella, nel suo ufficio disordinato e trafficato, non usasse il telefono per uso personale o fotocopiasse i racconti di Jack Kerouac per le amiche…
In realtà ciò ha poca rilevanza, anche perché lei era una impiegata della Repubblica Italiana e non dell’Imperiale Ufficio Tavolare Absburgico di Cormòns.
Lui si sentiva solo.
Mangiava male, wurstel, panini nelle stazioni, quello che capitava.
Beveva duro, con gusto, sicuramente troppo.
Amava la musica, certo, cantava accompagnandosi con la sua chitarra acustica, blues stonati e storie scalembre.
Aveva l’età di Cristo ma molti chili in più e aveva cambiato casa e lavoro molte volte negli ultimi anni, in un crescendo d’insoddisfazione, fatalismo e senso dell’umorismo un po’ acido.
Qualcuno disse di lui che lavorava solo per non pensare alla propria continua, nevrotica insoddisfazione.
Forse non era vero, forse aveva idee, desideri, strani equilibri fra professionalità, vita e poesia, fra le proprie nevrosi e l’ansia di spazzarle via con un altro viaggio, un’altra casa, un altro lavoro, altre lingue, suoni, sapori e saperi.
Come disse quello che insegnava alla Sorbona di Parigi: ” La sapienza è un po’ di sapere e molto sapore”.
Lei vide lui mentre smaltiva la classica sbornia in trasferta, birra e tequila.
Era una mattina di Marzo, afosa, grassa, appiccicosa, sudaticcia.
Lui era ansioso, stanco, grasso, sudaticcio e aveva voglia di andarsene da quel luogo caotico e disordinato pieno di ragazzini con i capelli colorati di arancione, blu, verde, ed anellini su orecchie, naso, bocca ed altre parti del corpo, che non si vedevano ma si potevano indovinare.
C’erano anche belle ventenni anoressiche che lui non notò, annebbiato dal sonno, dal grigiore di quella mattina bianca come latte inacidito.
Lei vide lui con i capelli sudati tirati sul collo e la giacca di cuoio nera e la barba e le basette a punta sulla faccia gonfia, rossa e indispettita.
Lui vide lei sorridere.
E sorrise.
Dentro di se sorrise.
Lei gli disse un paio di sciocchezze.
Lui pensò: “Che begli occhi che bella bocca che bel sorriso che bella voce che bel viso che orecchini splendidi che bella donna che sciocchezze dice, un paio, che intanto ogni definizione è buona, nulla ha senso voglio andar via di qui, farmi una doccia e poi dormire”.
Non si sa che pensò lei.
Lui prese un treno.
Poi prese un foglio di carta e scrisse.
Le scrisse “Vorrei poter posare ancora il mio sguardo su di te”.
Prese una busta, prese il telefono, si fece dare l’indirizzo di lei.
Scrisse l’indirizzo sulla busta, comprò un francobollo e spedì la lettera.
Lei ricevette la lettera.
Dopo pochi giorni lui e lei camminavano per una città d’arte.
Si parlarono a lungo.
Poi si baciarono a lungo.
Passarono la notte in un piccolo alberghetto di quella città.
La mattina dopo passeggiarono e poi mangiarono le seppie in umido ed una insalatina deliziosa con un quarto di vin bianco.
C’era un bel sole primaverile e il cielo era azzurro.
Lui era innamorato di lei.
Lei era innamorata di lui.
Passarono alcuni mesi.
Lui era sempre innamorato di lei.
Lei era sempre innamorata di lui.
Quando s’incontravano si baciavano a lungo.
Questa è una storia realmente accaduta, nella primavera del 1997 ad un uomo ed a una donna, né migliori né peggiori di tanti altri.
Per cui, il mio consiglio è questo: se incontrate un uomo o una donna che vi piace, scrivetegli subito una lettera d’amore, anche solo un biglietto.
Con tutte le sciocchezze che si dicono e scrivono non vorrete mica vergognarvene?
Gente come voi, che non si vergogna più di nulla!
E cercate di rispettare l’ortografia.
( Raff BB Lazz Giugno 1997)