I friulani sono moderamente ossessionati dalla loro identità quanto poco critici e consapevoli di come, quando e perchè questa esista.
A frequentarli bene viene da dire che, a parte la rissosità, l’alcolismo e il tratto culturale longobardo della faida – e, forse della depressione pannonica – della millenaria storia del Friuli a questa gente non resti che la rassegnazione e la rabbia.
Come ogni cultura luterana, calvinista o pseudoprotestante ( cfr. Weber ) la cultura friulana di oggi è ossessivamente efficentista, colta da un’ansia da prestazione irrazionale quanto maniacale.
E’ l’efficentismo dei poveri e degli ossessi, coloro che accumulano il nulla per autodeterminarsi.
L’etica del lavoro, ovvero la mistica del lavoro friulana, funzionale al sistema capitalista nei suoi ambiti marginali o terziari, è il rifugio di una società contadina negata dalla storia e sopravvivente senza punti di riferimento culturali, etici, spirituali.
L’etica del lavoro in Friuli è ossessione ed efficenza, ansia di esistere muovendosi sullo sfondo immobile del mondo dei padri e delle madri, assassinato e vilipeso, dimenticato.
Violentato fisicamente il territorio delle Basse Terre, del Medio Friuli, delle Colline e dei Colli Orientai, del Collio, dei monti e delle valli a Settentrione, distrutta la cultura agricola, contadina, artigianale e artistica della ruralia ladina, al rustico friulano colonizzato ed ipervitaminizzato, asfaltato, fondiarizzato, meccanizzato, forse persino informatizzato, è stata data l’ossessione dell’efficenza inutile.
Prima si moriva di fame disboscando le montagne, oggi si muore di stress temperando le matite nello studio notarile.
Ma il friulano non demorde e continua a farsi distruggere: fottuto nell’artigianato dall’industrializzazione globale, fottuto nella produzione agricola dal medesimo sistema, fottuto nella capacità di costruire una casa come sapeva, diventa imprenditore, sfrutta i suoi immigrati che poi brucia in piazza quando può e, con la sua terra e la sua cultura brucia anche la capacità di avere una morale.
Cosa resta di questa cultura lapidata, violentata e distrutta?
La lingua.
Il friulano.
Il friulano, sistema linguistico ladino dalle molte vivaci varianti è moribondo.
Fino a pochi anni fa era una lingua senza legge.
Oggi questa lingua è anche e democraticamente legiferata.
Tutto ciò non servirà: legiferata dai politici, finanziata dai padroni, accolta senza sapere dalla massa di colpevoli impotenti, questa lingua non servirà a nulla.
Perchè dietro alla lingua non c’è più una cultura.
Perchè dietro alla cultura della miseria furlana c’è la lingua rotta del nulla.
Perchè la poesia, il motore di ogni lingua e di ogni cultura, è stata assassinata, costretta a vivere mendicando un poco d’aria per evocarsi.
La lingua: un’altra lingua allora, per il furlàn bastart, un’altra lingua allora per un’altra identità: libera, in guerra col sistema sociale col quale dobbiamo confliggere, col sistema limguistico impoverito e legiferato che ci identifica come ossessionati servi del capitalismo più radicale e suicida.
La lingua poetica, la nostra, la nostra arma di battaglia per uno scontro che ci vedrà cadere comunque in piedi: non identificabili attraverso le grammatiche delle vostre povere lingue da bankomat.
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