Ass’andira Ass’andira

Bologna, 6 Marzo 1994
– concerto dei Kenze Neke –


ASS’ANDIRA ASS’ANDIRA ANDIRA ANDIRA ANDIRA ANDIRA
OI OI OI !
OI! ODIA IL FASCISMO & AMA LA MUSICA !

Così cantano gli skins comunisti a torso nudo sotto il
palco, i pugni chiusi levati in alto e i tatuaggi
imperlati di sudore : oi! i compagni di Torre Maura .

Ebbri, rotolando nel pogo fra loro, abbracciandosi,
passandosi bottiglie di birra ed acqueviti, una paglia
dietro l’orecchio, sconfinano nel magma dei danzanti:
giovanotti e signorine fuori di zucca, spilungoni grunge,
studenti universitari, punk dalle alte creste, barbuti
lettori di bisettimanali d’estetica, coppie di musicisti
col costume tradizionale, tre pastori sardi gonfi di
cannonau, nerovestite lesbochiomute e gay militanzi,
psicotrilobiti marxisti, isoanarchici, ciuffettini,
neobarboni, post-trash, tarantati nascosti, benandanti
elettronici, streghette e stregoni, passeggiatori del
Savena, posteggiatori in acido ed altra gaudente umanità
estatica nel cuore del suono rivelatore .

Dandolo ed io osserviamo sorridenti e compiaciuti questo
spettacolo, sicuri che la società altra e mutante,
psicodinamica, estatica, oltreverbale, poetica che
vogliamo assomiglia molto a questa trottola di danzatori
neuromantici e alterati .
Stasera amiamo soprattutto loro, gli skins comunisti da
Torre Maura, Roma, con i loro cori e i loro muscoli
e le loro sciarpe e i loro anfibi rossi con le stringhe
chiare, Sharp, Troian Skins, Bolscevic Korp, siamo sicuri
che il nostro Santo PietroPaolo Pasolini li avrebbe amati
come li amiamo noi, belli e coglioni, innocenti, sperduti
e arrabbiati, puri fiori nella spazzatura di una patria,
di una cultura e di una lingua che non esiste più .
Oi !
Vi lasciamo i nostri cuori tarntabenandati, dommattina,
una volta tanto, si lavora . Ci sono le stelle . Rosse .

Raff BB Lazz 94

Appello

Tempi bui sovrastano le nostre terre, i nostri capi ed i nostri pensieri : viviamo in un contesto culturale sempre più povero e depauperato, un ambito culturale che crea mostri : un sistema sociale spietato, il crescere dei disequilibri sui piani biochimici del globo sul quale camminiamo, il montare della depressione neurochimica nelle nostre menti apatiche …

Da un lato vi è una summa di culture “dominanti”, quelle che dirigono i gusti e gli appetiti poveri del “mercato di massa”, dall’altro gli pseudoantagonisti, voci disperate che gridano
ossessivamente “Il re è nudo !” .
Ma non vi è più re, nel rotolio della moneta, sull’orlo d’una guerra uniforme della noia e della depressione culturale non vi è che il vuoto rimasticato del niente, la grande gomma americana dell’usura coattiva …
Ma negli interstizi territoriali, spaziali, temporali, metastorici, nei giardini incolti e nelle biblioteche dimenticate, nelle energie libere e nelle lingue tagliate mille piani nomadi resistono ancora e sempre all’invasore !

” Sono la brace della terra e l’impossibile “, sono l’altro che cammina, sono l’energia mentale innocente, sono l’antidoto al cannone/ladrone/biscione/depressione/repressione/polluzione, sono i mille piani oltrepadani oltrecamuni oltrefurlani arabi e affricani, sono i mondi in rifacimento l’immaginazione al lavoro, il progetto di accarezzare con lievità l’esistente, nuotarlo, leggerlo, scriverlo, abbandonarlo …

Anche per questo, se organizziamo una resistenza all’isofascismo
dei poveri propinatoci serialmente da queste povere culture del gas e della gomma americana inventando una nuova geografia mitica e dei nostri sogni, non ci limiteremo a questo : per le menti sorridenti i luoghi hanno avuto sempre altri nomi da quelli offensivi che la topografia militare gli ha voluto regalare .

Ci/vi rivolteremo come guanti !


MUVIMENT RASTAFURLAN BUMBUIE FLK
FRONTE CELTARABO
MILANO CINGHIALA 1994 MLK
XVI Brigata Antileghista “F.P.”
IPERBOLE MAGNA

Una lettura de “La ragazza Carla”

UNA LETTURA DE “LA RAGAZZA CARLA” DI ELIO PAGLIARANI

cenni sulla poetica di Pagliarani nel campo
della neo avanguardia letteraria italiana


Scrive il poeta in un intervento (“La sintassi e i generi”)
apparso in “Nuova corrente” 16, nel 1959 :

“… arricchire il vocabolario non significa necessariamente arricchire il discorso, puï anche voler dire che si arreca turbamento e confusione . Nessun vocabolario ha illimitate capacità di adattamento …” e più avanti : ” … il genre poemetto, il kind poesia didascalica e narrativa sono proprio gli strumenti con i quali in questi anni si esprimono, con premeditazione, alcuni di quei poeti che, tendendo a trasferire nel discorso poetico le contraddizioni presenti nel linguaggio di classe, adoperano un materiale lessicale plurilinguistico .”

Da queste righe ricaviamo alcune riflessione apparentemente banali ma significative sulle linee che Lucio Vetri, nel suo testo analitico della neo avanguardia italiana, pone come essenziali per capire i rapporti che intercorrono fra avanguardie del primo Novecento ( nelle loro diverse, spesso opposte valutazioni dell’ambito estetico ) e neo avanguardia : dal rifiuto dell’estetico o sua assunzione all’integrazione autonoma dell’ estetico ; autonoma in senso lato, dato che si tratta sempre di una esperienza di integrazione dinamica su vari piani, di ” un’ esperienza operante in un orizzonte di verità mondana”, di
una reciproca transizione fra autonomia ed eteronomia del campo artistico .
Ma è soprattutto a due temi fondamentali della teorizzazione neoavanguardista che le affermazioni di Elio Pagliarani sembrano
indicarci : innanzitutto quella della creazione ragionata dellla
“trasgressione operativa”, della continuazione di quella tradizione poetica europea contemporanea che, da Baudelaire in poi non aveva potuto esprimeri altrimenti che come “gesto d’insubordinazione” (F.Curi, “Perdita d’aureola”), insubordinazione alla classe d’appartenenza e al suo sistema di valori, di codici, di linguaggi …
In secondo luogo si accenna alla poliglossia, ai con-testi
linguistici (ed anche transartistici, ma non riferiti specificatamente al Gruppo 63, ed anche qui : come non tentare di mettere in relazione il positivismo di certe poetiche ed estetiche “fin de siecle” non certo avanguardista, Carducci in primis, con la scientificazione letteraria di Salvi, Pignotti e del Gruppo 70)
che, osservati a trent’anni di distanza fra gli ipertesti cyberpunk e le multiglossie letterarie delle poche acute proposizioni poetiche europee sembrano trasferire la lirica in un linguaggio che non è obbligatoriamente oppositivo o, al contrario, l’impossibilità stessa di esserlo, ma multisensorialità sensibile,
– 2 –

quasi indicativamente posta fra piani e trasversalità non difficilmente identificabili .
Si pensi, ad esempio alla interazione Berio-Sanguineti ( che non è solo musica poesia, complessità di segni e significazioni ma anche, appunto “sperimentazione plurilinguistica” .
Ma non a Sanguineti-Dante Alighieri, non al poemetto-Commedia, non alla poesia-tragedia facciamo qui riferimento (attendendo la smentita) .

La lettura de “La ragazza Carla” è inscrivibile ad una prima lettura proprio sul piano della poesia didascalica e narrativa,
nel quale ci sentiamo di inscrivere l’opera .

Siamo qui ( 1957 ) nel periodo che forma il corpus poi definito della neoavanguardia . Elio Pagliarani che Pasolini, forse cedendo alla tentazione di render pan per focaccia ai suoi detrattori, indica di questa il rappresentante più “tipico e assoluto”, pur dotato di una “misteriosa linfa che conferisce agli elementi di disgregazione stabilità, grammaticalità e rigore”
percorre la sua opera con una scrittura formalmente neorealista che si apre, tuttavia, alle più varie frantumazioni e sperimentazioni linguistiche divenendo, con gli anni, sempre meno
discorsiva e lineare .
Ad una lettura anche generica della critica letteraria militante, limitandoci al periodo 1947-1980, la scrittura di Pagliarani viene
più che altro analizzata per le sue valenze teoriche e per la ricerca formale di cui il piano narrativo viene ritenuto puramente pretesto .
In realtà, leggendo “La ragazza Carla” la prima impressione è che l’autore ci voglia raccontare una vicenda (con tanto di presentazione realistica e confidenziale ) e costruire un piccolo epos esistenziale e metropolitano, una leggera epica di cheta ma
profonda provocazione : non solo, quindi, problema di genre o di kind .

“Un amico psichiatra mi riferisce di una giovane impiegata tanto poco allenata alle domeniche cittadine che, spesso, il sabato, si prende un sonnifero, opportunamente dosato, che la faccia dormire fino al lunedì . Ha un senso dedicare a quella ragazza questa “Ragazza Carla” ? ”

La ragazza di nome Carla non prende il sonnifero, sta dopo il cavalcavia di viale Ripamonti con la madre che fa pantofole ed Angelo e Nerina .
Ed è quasi un ricordo mallarmeano, svuotato e beat (ballata popolare), sincopata memoria di un “felebrige” padano sarcastico e dolente :
“Il satiro dei boschi di cemento
rincasa disgustato
è questo dunque
che ci abbiamo nel sangue ?

O saranno gli occhiali? Intanto è ora
che si faccia cambiar la montatura ”
– 3 –

Collage ironico, gioco, sonorità stemperate nel frammentarsi
ludico del piano narrativo (” …la poesia nasce proprio dal gioco, dalla contrapposizione, dal collage di pensieri …” U.Eco 1964, su “La ragazza Carla”).
Lieve l’erotismo tragicomico della giovane neodattilografa, lieve e via via cinica la ballata, il taglio caustico che chiude la prima parte del poemetto:
“Ecco ti rendo
i due sciocchi ragazzi che si trovano
a casa tutto fatto, il piatto pronto
Non ti dico risparmiali
Colpisci, vita ferro città pedagogia
I Germani di Tacito nel fiume
li buttano nel fiume appena nati
la gente che si incontra alle serali . ”

( qui si segnala la curiosa analogia con una lirica del 1953, “I
goliardi delle serali” ) .

“Carla Dondi fu Ambrogio di anni
diciassette primo impiego stenodattilo
all’ombra del Duomo ”

insistentemente milanese, la ballata si fa tendenziosa, nel gioco di cui si è accennato sopra compare una lingua che pare legare la burocrazia all’insubordinazione dei subordinati, si insinua fra Carlo Emilio Gadda, Luciano Bianciardi ed Enzo Jannacci (all’epoca ancora attaccato ai respingenti dei tram lungo le circonvallazioni) :

” Sono momenti belli : c’è silenzio
è il ritmo d’un polmone, se guardi dai cristalli
quella gente che marcia al suo lavoro
diritta interessata necessaria
che ha tanto fiato caldo nella bocca
quando dice buongiorno
è questa che decide
e sono dei loro
non c’è altro da dire ”
Varrebbe la pena di approfondire un poco la Milano di questo poemetto in tre parti, la città-industria neorelista e politecnica, la chiaroscurata ma nitida prospettiva di un dopoguerra faticosamente superato per costruire un “miracolo
economico” già sensibilmente nell’aria .
Città difficile da raccontare e forse consapevolmente non facile
da percorrere nei sensi e nella sua necessarietà, esigenza
di costruzione di una lingua che ci separi dalle lingue che non
possono dirla, la città, ma solo tradirla (i testi sulla
dattilografia, le uscite di Aldo, del padrone ma anche la poesia alta, il linguaggio lirico nel suo barocchismo o ermetismo ).

E’ la Milano del Marzo 1948 ma anche del Settembre del 1954 e dell’Agosto del 1957 . Bisogna tener conto di queste tre date
(quella espressa nel testo, le due poste in calce alla fine)
per definire gli spazi e i tempi di questa città .

E’ la Milano che si appassiona all’industria, che si fa tecnologico crocevia di culture (di immigrazioni, di merci, mercati, di fughe, di codici comunicativi ) città complessa
per una cultura complessa per una poesia complessa

” Chi è nato vicino a questi posti
non gli passa neppure per la mente
come è utile averci un’abitudine ”

E’ la Milano dal “cielo colore di lamiera”, “contemporaneo”,
che sovrasta ogni piazza a Sesto a Cinisello alla Bovisa,
“tutti i tramvieri fermi al capolinea”, cielo “morale” e di acciaio, come i capannoni Pirelli .

E’ la Milano delle luci accese, dei “segni colorati dei semafori”,
di altri segni appena decifrabili, avvertibili forse .

E’ la Milano del lavoro e della sopravvivenza, del moto continuo
che necessita spiegazioni, anche politiche .

Qui appaiono i “treni del sonno” bianciardiani e la sensibilità collettiva che si deve spiegare, descrivere, qui lo straniamento, lo stupore, la domanda incessantemente assorbita dal muoversi della città stessa, dalla sua presenza collettivizzante .

Molti linguaggi, lingue differenti inanellate nel ritmo a seguire, inglese, francese, italiano : anche qui ci viene in mente Luciano Bianciardi . Ma Bianciardi si è arreso, lo abbiamo letto sulle pagine “culturali” dei quotidiani, recentemente

“Chissà cosa vuol dire debolezza
forza, nell gente, spina dorsale .
Chissà che cosa sanno quanti sanno
ciï che vogliono, che spingono avanti la certezza
di essere, come fossero da sempre
uomini, e per sempre . ”

Filastrocca, in-certezza, paura (di attraversare la domenica in città? ” … No, no, no, Carla è in fuga negando …”) .

Procede Pagliarani, unico vero beat padano secondo Porta, nella sua “finzione” femminile depresso-maniacale, nella sua Milano
iperreale (“La storia di Carla è molto meno vera della Milano che le sta intorno; una Milano che è fatta veramente di parole, cioè di un tessuto sintattico studiato sul vero, che non scade mai a colore locale .” F.Fortini, 1960) negli uffici un po’ clawneschi un po’ infernali dell’industriarsi .

– 5 –

Carla è in fuga dall’ufficio, il signor Pratèk ha provato a toccarla, ma lei ha preso la scossa, non tornerà più .-
La madre, vedova Dondi, si industria, manda la figlia con il fidanzato Aldo (quello delle serali) in visita ai Signori
Pratèk, anzi, alla signora, inadeguata a questo mondo complesso
mentre dice sciocchezze . Tutti sono inadeguati

“Atour des neiges, qu’est ce qu’il y a ?
Colorati licheni, smisurate
impronte, ombre liocorni …”
Meglio andare a passeggio per la città in compagnia del giovane Aldo a vedere le vetrine, i quadri dei pittori, un comizio o, ma più raramente, un film al cinema .

Appaiono gli operai con le bandiere rosse, i comizi, le elezioni, quelle del 1948, la Celere che scorta, il sangue che nelle vene batte a ritmo accellerato, a Nerina è nato un bimbo, Carla vorrebbe andare a votare ma è troppo giovane

“Les rouges les rouges regardez la- bas”

Ma i rossi vengono sconfitti, le domeniche si susseguono dolorose fra una settimana e l’altra

“procedendo poi i giorni come al solito
come strumento
come strumento di tesaurizzazione
come strumento di tesaurizzazione
l’oro in Europa ”

e girare per le domeniche a Carla fa paura, girare sola, in una geografia periferica circolare (via Ripamonti, viale Toscana, piazzale Lodi, viale Umbria – un accenno a Porta Romana nella nota conzone popolare canticchiata da un uomo che passa – ) in una città che muta come le scene di un teatro che si abbassano e si alzano come tese da fili che non si sa chi muova .
Infine Carla raggiunge il centro, al “verziere”, meta desiderata perchè collettiva, rituale quasi, cultura reale ( ma non avrebbe fatto prima a fare corso di Porta Vigentina ?) quasi un centro
vitale, erotico .
Aldo corteggia un’altra donna, biondastra, “poco fine” .

Domenica sera Carla decide di passare all’offensiva : la sorella divertita le insegna a mettersi il rossetto, le presta le sue calze di naylon . Questo per andare in ufficio l’indomani, iniziare una settimana fresca, desiderata, a testa alta .

“Quanto di morte noi circonda e quanto
tocca mutarne in vita per esistere
è diamante sul vetro svolgimento
concreto d’uomo in storia che resiste
solo vivo scarnendosi al suo tempo …”

La terza ed ultima parte del poemetto si chiude con gli endacasillabi “alti” e perentori sull’amore e il dolore .

Una lettura abbatanza convincente di questa chiusa “forte”
la vede inscritta nel contesto generale dell’opera, laddove i brani in corsivo ( le istruzioni per la macchina da scrivere e le dattilografe, le esplosioni crepuscolari ed ermetiste dei personaggi più stralunati ) paiono avere il senso di una polemica verso ciï che non è poesia, contrapponendosi alla ballata multilinguistica impostata sul registro di una lingua reale
( le “contraddizioni presenti nel linguaggio di classe” di cui sopra ) .

Secondo Walter Siti (1972) all’interno della ballata e delle sue polivalenze linguistiche lo scontro fra linguaggio alto e la banalità della vicenda narrata pone un problema di fondo . “questa esistenza banale merita l’endecasillabo ? oppure : l’endecasillabo è degno di questa vera vita ? ” .

Il senso contenutistico dell’opera si incontra qui con l’elaborazione formale in maniera eclatante , perentoria .

Il problema posto da Elio Pagliarani resta comunque un problema aperto al di là della sua poetica e al di là della esperienza neoavanguardista nel suo complesso, mentre sulle poliglossie e sugli ipertesti (che si vorrebbero comunque utilizzare come strumenti e non porre a realizzazione di una ricerca puramente formalistica ) nelle più recenti proposte letterarie in relazione
alla poetica di Elio Pagliarani andrebbero presi in esame molti altri testi, in particolar modo “Lezione di fisica & Fecaloro ” e “Doppio trittico di Nandi” .


Raffaele BB Lazzara

Milano, 13 Marzo 1994

Usignolo

Abbiamo la coscienza rossa come la lingua al cielo del colibrì che espone la sua bandiera al sole . La nostra bandiera è quella della rivolta a corrente alternata, la rivolta delle carriole abbandonate al sole, arrugginite dalla pioggia di mille inverni, di cent’anni, ricchezza di memoria non detta, acque di mari
lontani, oceani gelosi di tramonti arcaici, occasi aedici, tempi del mito in cui democrazia non esisteva e non si sapeva lingua diversa da quella della luna e della criniera di leone notturno .

Siamo nati lontano, non conosciamo le nostre parole, non abbiamo avuto una patria, non una lingua, una cultura, ma vediamo le mille patrie e le mille lingue e i codici del mistero e le culture e le nebbie e l’acque e i venti e le terre e gli oceani, le pietre, l’erbe, i legni, i fiori, i frutti, i funghi, i corpi, li possiamo toccare, annusiamo questi odori, seguiamo le loro tracce, affondiamo le nstre dita e i nostri denti in queste carni, li possediamo e ne siamo posseduti, alziamo la lingua al sibilo e allo schiocco del rumore, adoriamo i suoni, i canti, percorriamo
le onde sonore, le esplosioni elettromagnetiche, neurochimiche, apriamo i nostri sensi alle mille alterazioni di una coscienza nostra, collettiva, su mille e mille piani, in mille e mille reti in cui scivoliamo dinamici come ubriachi la china del sogno, come asceti del vino rubino, come danzatori in estasi, come amanti silenziosi e sorridenti, come ieratici monaci della luce e della notte, come guerrieri, come cantaballe, come uccelli di pianura, come rane, come bambine in fuga dalle mamme …

Siamo frammenti d’esposizione, quindi un po’ tutto e un po’ nulla, siamo oltre, e grandi ventri gonfi e larghe occhiaie, pistilli, Rastafurlans, provocatori di filastrocche, viandanti, benandati .

Rivolteremo i nostri sogni come guanti, cuciremo mondi e ce li applicheremo sugli strappi della giacca .
Sorridenti .

* RASTAFURLANS
* TARANTATI CIBERNETICI
* BENANDANTI ELETTRONICI
* POETI & PINGUINI
* ASSASSINI ***


( dedicato un po’ a tuttO
in particolare a
Los Furlanos de Hoy -Padre Tavan*- a
Zio Walter a
Re Dandolo Junior e a quel nazi di
Zio Salvo )
*** ***


Milano, 12 Marzo 1994

Biografia (circa 1994)

BIOGRAFIA DI RAFF BB LAZZ (Zio Lele)


Raffaele Bombadillo Badaluc Al Betriq Lazzara, detto Zio Lele il Pinguino, nasce a Dusseldorf, nella Renania Westfalia, il 13 Marzo del 1965 da famiglia di immigrati friulano-celto-absburgici .
Ancor piccolo si trasferella a Milano con la famiglia .
La madre, donna austera, il padre marconista, il fratellino che, crescendo, esprimerà ogni sorta di fobie e psicosi, la nonna paterna, un ex sergente di Sua Maestà imperiale Francesco Giuseppe con manie di grandezza, rappresentano il nuckleo familiare .
Importante per la sua formazione anche la figura del nonno materno, cacciatore e sciamano .
Educato nella peggior scuola dell’obbligo istituibile e allevato nei rigidi valori morali della parrocchia pseudocattolica di San Johnny Stecchino, il nostro ha un’infanzia complessa ma non infelice : piccolo atleta, piccolo teppista, grande lettore e sincero sognatore arriva alla pubertà con fatica .
Nel 1978, nel pieno della contestazione postsettantasettina, è simpatizzante del Pdup per tre settimane, prima di aderire alla linea anarco-sentimentale dei Gruppi Anarchici Libertari che egli stesso fonda con alcuni giovani amici poi passati dalla parte del Capitale .
Nel 1979, ginnasiale, è leader dei giovani anarco-alcoolisti del Movimento Studentesco milanese, collabora con i compagni di Lotta Continua della Bisiaccaria, partecipa alla confederazione dei Collettivi di Guerriglia Psichedelica e scrive saggi e scritti poetici e filosofici .
Suona con Walter La Forza e il suo gruppo “The Demential Blues Rock Band MM Gioia 2” con i quali calca le scene dell’underground transpadano .
E’ accolto nel cenacolo rabeleisiano di Hans Spinnler (& his band) medico, mago e astronomo germano-babilonese che ne fa un suo allievo . Scrive il saggio “Non esisto” .
E’ in Francia, in Provenza, a Parigi, a Morimondo .
Nel 1981, entrato in conflitto con tutto e con tutti, parte di testa e vagabonda per la città di Milano componendo canzoni acustico-esistenzialiste, vergando versi, facendo il musico ambulante, l’accattone, il facchino, lo scaricatore, il magazziniere, il fattorino, il vu cumprà, il venditore porta a porta e via dicendo . Viene ricoverato in ospedale psichiatrico dal quale fugge . Viene messo a tacere per un poco da alcuni pseudotaumaturghi nazistochimici .
Nell’estate del 1982 è di nuovo in giro per l’Europa , nel Sud, nel Nord, a Parigi, Amsterdam, Londra, in Cornovaglia . Si lega ad alcune donne ed ad una sedia . Conosce San Fozio l’Abate, già rettore della Libera Università di Roccabrivio, del quale diviene copista e amico fraterno .
Dal 1984 inizia una fervente attività giornalistico-creativa che lo vede pubblicare sulle maggiori testate europee ( “Panorama”, “Stop”, “La Tromba”, “Anima”, “Trip”, “Frog”, “Smog” e via dix). L’estate di quell’anno è a Ginevra dove inizia la sua collaborazione con i poeti, gli artisti, i pittori, gli scrittori arabi del gruppo di Abu Shakir che lo vedrà spesso nella città elvetica anche per lunghi periodi a fianco degli intellettuali e dei rivoluzionari che, da tutto il mondo, cercavano asilo in quella benedetta città.

Si lega ad una monaca di clausura stalinista, tale Paulette De Gli Stuoli dalla quale avrà un calcio nei denti .Partecipa ad alcune esperienze autogestionario-utopiche fra le campagne padane e le alpi .
Diviene pittore, pubblica le sue poesie in raccolta ( “Poesie” 1987 ) e ottiene il titolo di Maestro alla Civica Scuola Serale “Valeria Bakkalini” divertendosi a fare, fra l’altro, il pubblicitario e l’anacondo .
Nel 1988 si lega a Mirandolina Bettinell Al Giumbolïn Y Bau7, danzatrice arabo-orobica ma più che altro una prostituta, per la quale comporrà versi e canzoni appassionate ( “O Surdato nnammorato” ) .
Nel 1989 fonda il gruppo musicale “The Rebel Lips in A Ghetto and the Mikail Bakunin’s Lovers Big Brass Band” e va a Bologna a caccia di nuove realtà kulturali .
Universitario, ubriacone, conosce Zio Mino Dandolo, poeta salentino, Zio Tony ed i suoi Nanetti di Pietra e numerose sbarbate di cui s’innamora .
Partecipa al Movimento della “Pantera” in modo pendolare ma convinto : ricordatosi come si fa un “tazebao” ne verga a mano ben seimila in una sola notte di Febbraio ( siamo nel 1990 ) .

Studia la mano di Zum Zum e inizia a bazzicare giovani Down e conigli pirati redarguendo e redigendo libelli anarco-inkazzati, affogando dolcemente nelle proprie consapevolezze e nei propri sogni alchemici .
E’ la fine del 1991 quando diviene manager di Roberto Soto, calciatore salvadoregno dalle preclare doti ( soprattutto di destro ) . Di questo periodo sono gli studi appassionati di greco e latino, filosofia, psicologia, sociologia, storia, letteratura,
antropologia, etnografia, alchimia, pedagogia, geografia, teologia, matematica, fisica, pornografia, storia dell’arti plastiche e visive, dell’architetture e delle musiche, del folklore, delle strutture economiche, della cibernetica e della linguistica, dell’estetica e della retorica, delle tecniche per la costruzione di armi da guerra e cucine da campo . Nell’estate del 1992 si rifugia a Ginevra, in Svizzera, per sfuggire le persecuzioni guelfe e craxiste .
Tornato a Milano al seguito della caduta del despota italo-albanese si dedica allo studio del biliardo frequentando la nota Accademia meneghina .
Sempre più povero e ammalato continua perï a comporre versi, a redigere saggi e libelli ferocemente anticlericali e ad aiutare i compagni pseudolibertari e isoanarchici che ne ammirano la profonda saggezza e la cultura straordinarie .
Chiamato dall’amico d’infanzia Jacopo da Berghem, divenuto un multiplutocrate, a celebrare il suo matrimonio con una ricca proprietaria terriera provenzale a Nimes nel Giugno del 1993,
scompare sulla strada per Barcellona dove probabilmente voleva
arruolarsi nelle brigate della Federacion Anarquista Iberica
come volontario per il fronte aragonese . Riappare alcuni mesi più tardi nella Milano occupata dalle truppe leghiste fra i partigiani della XVI Brigata Antileghista “Fabio Portaluppi” .

Sconfitto il Fronte Democratico ed instauratosi il leghismo a Nord del Po, il Nostro ripara a Bologna, ospite di Fra Gostino Manni, teologo fondamentalista, che vive insieme alla sua puerpera, il poeta travestito Dandolo junior .
Trovato lavoro come tutore in un rifugio per giovani abbandonati trascorre l’esilio leggendo e studiando .
E’ un periodo di grandi ripensamenti e di forti risentimenti politici : frequenta reduci della Pantera e nostalgici della Grande Emilia Rossa, fra i quali Loretta Doremç, teorica del veleno nell’aranciata, Beatrice Cacciatrice, Mary Poppins e Milena Altalena, la contessina del salotto Zen .
Cerca inutilmente di entrare nel Monastero Elettrobuddista di Nik Martino, neurosciamano metropolitano molto famoso all’epoca fra i meditatori psicochimici di tutta la pianura padana .
Scrive “Iperbole magna” saggio politico in cui auspica la futura società, una federazione di bioregioni governate da re illuminati e bellissime regine poetesse e maghe in cui si rifà ai suoi maestri (Hans Spinnler, San Fozio Abate, Panurge, Federic Tavan poeta interplanetario, Obelix …) .
Per organizzare la resistenza antileghista è spesso a nord del Po, protetto dalla falsa identità di Napo Orsocapo venditore di laminati plastici : il suo lavoro è quello di mettere in contatto i gruppi più diversi fra loro ma uniti dall’odio verso il potere del Grande Bauscia e del Biscione : il Fronte Celtarabo di Meditazione, il Friul Liberation Kongress, il Movimento Rastafurlan Bumbuie, le Brigate Bisiacche, Padania Libera e Bella, Fronte Popolare Resiano “Principe Pistillo” eccetera …
Nel Febbraio del 1994, mentre cerca di contattare il responsabile milanese del Movimento del Cinghiale in una salumeria della capitale longobarda viene coinvolto in uno scontro a fuoco con la milizia politica leghista alla fine del quale si conteranno trentatrè morti .
Sfuggito alla cattura, nascosto in una cantina trova l’amico Walter La Forza, divenuto suonatore di organetto . Riprende quindi il sodalizio musicale interrotto tanti anni prima : nascono i “Beons”, complesso transartistico oltrepop .

– V.P. Propp –

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